Chemical Brothers – One Too Many Mornings
SMART TIME
Qui il tempo è sempre terribile
e la stupidità ha coltelli affilati
da scaldarmi sulla faccia il colore
che mi ricorda
sui vestiti e tra le lenzuola
che la speranza è poca
ed è meglio pensare ad altre soluzioni.
Tu mi hai fatto solo righe e tagli dall’inguine al cuore
e sospetto
che il cielo non abbia più limiti sopra tutta questa cosa:
ti prego, sollevalo e fammi volare.
Ti prego, sollevalo e fammi volare.
Ti prego, apri questa gabbia e lascia questo divertimento
all’aria senza il panico
che i tuoi siano solo
compiacimento e vendetta interminata e sadica.
Ti prego, insegnami le tecniche
per aggirare il tempo
e gli spigoli dei mobili ingombranti in casa
e canterò ancora
anche quando non mi punirai più
e verrò sempre a cercarti
senza allontanarmi troppo
dai tuoi occhi quando vorranno spaventarmi.
Oppure
ti prego, portami al di là di tutto con una mano
perché non sopporto più questa banalità
senza le parole
che aspetto di veder passare
in discesa fuori dalla finestra:
non voglio più sporgermi,
non voglio più vertigini.
Ma poi improvvisamente
come un colpo d’aria a lacci sciolti
ho
la paura di perderti
e il pensiero chiaro
che non ti si può perdere,
perché la vicinanza è più importante
e solo te si può avere una
una volta sola sulla terra.
È impossibile non averti nella mente,
ma nella mente non sei mai stata
boccale felice, ossigeno e senso buono,
piuttosto unica alternativa all’impazzire in confusione.
Anni a odiarti
per un difetto
per cui occorrerebbero generazioni di figli
per confezionare il perdono e la comprensione
sufficienti a fare il fiocco al permesso di lasciarti andare,
generazioni
in cui non posso produrmi
perché altrimenti potrei perdonare
e sarebbe troppo vero lasciarti.
Gli anni hanno coltivato l’abitudine a odiare,
abitudine che ormai sola ti ricorda e ti conserva:
in altro modo non sei ed è impossibile trovarti diversa.
E allora che fare,
se la vicinanza è più importante
e non ti si può perdere?
Come potrei trovarti se non con le mani dell’assassino?
Dove, se non prossima alle fasi attorno al nero?
Se la vicinanza è più importante,
è quindi meglio non perderti
e conservarti in qualsiasi forma.
Ma l’unica forma rimasta
è quella in cui ti si deve odiare.
E allora è meglio odiarti
che non averti.
E, siccome ti odio
per il difetto che mi ammala,
è quindi ancora meglio
conservare anche il difetto
perché così difettoso possa odiarti
e tenerti ancora.
Se non esisti
non si può neanche più pensare,
ma se ti si può odiare allora esisti,
quindi ti si può solo odiare
perché di te
ho la paura di rimanere senza,
e per odiarti si può solo soffrire
e mantenere intatto il difetto:
fin quando mi terrò
la tua lama nello stomaco
all’altro capo delle viscere
troverò la tua mano ad attaccarmi
e saprò che sei
là dove il mio odio saprà trovarti
per sempre e senza dubbi,
legati con una corda all’intestino
perché io di stare solo
ho più paura che di essere rovinato.
Non riesco a lasciare questo labirinto
e non ho più voglia
di camminare in questa giornata
di pioggia e nebbia:
vorrei scappare,
ma non posso lasciare te,
e quindi mi perderò
ancora solo nell’umidità,
anche perché
siamo gli unici che si possono salvare.
E io dovrei guarirti
per sognare di te qualcosa
che non sia un incubo,
per avere di te ricordi
come fossero di latte buono,
perché tu possa stare bene,
io non avere più difetti
e quindi smettere di odiarti.
Ma non posso guarirti
e così,
per sempre sposati al mio difetto,
l’unica soluzione
rimane odiarti.