“In un mondo depredato dei fatti [in cui] la lingua / dice un fragile biancore frammentato pallido allo stremo”, siamo nella ritirata delle parole. Cadono dalle ma ni, dalle bocche, si tengono strette nel pugno stanco. Una campagna di Russia ci costringe al doppio ordine del male: la certezza della sconfitta e l’incerto orizzonte del ritorno. Così Davaj è l’esortazione, l’invito a procedere, a farsi forza quanto più le cose si ritirano, mentre una voce prova a resistere con ostinazione, nella memo ria di un cuore. Costretta a incedere verso un traguardo non trionfale, la necessità delle parole – il suo concorso alla determinazione di un significato – è insieme discussa e custodita dal dubbio vitale di una parentesi. Come nella scienza della ricostruzione dei testi, tra questi versi non ci si rassegna mai veramente al perduto: il senso spesso è chiamato a offrire desiderose supplen ze alle lacune del discorso. L’esperienza sembra giunge re in soccorso da un vissuto che misteriosamente tutti possiamo ricordare. Ogni perdita si riconosce dal vuoto che lascia all’interpretazione e ogni parola indovinata deve contrattare la sua insostituibilità, com’è – in fondo – proprio della poesia. (M.T.)
L'Autore:
Michele Trizio (Bari, 1979) insegna filosofia antica e medievale presso l’Università di Bari. Ha esordito con la raccolta Cenere del Risveglio (Marco Saya Editore, 2024). Suoi inediti sono apparsi sulle riviste Avamposto (serie I n. 1, maggio 2022 e online), Atelier Poesia (online), minima (2024/1) e Doppia Esposizione. La presente raccolta è risultata vincitrice, come inedito, del Premio Bologna in Lettere 2025.
Davaj - Michele Trizio
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