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Il ricordo e la vita
IL PROGETTO
“IL RICORDO E LA VITA”
Questo progetto parte dal Piemonte nel 2018 traendo spunto dalle vicende della famiglia Ancona-Polacco durante la Shoah e degli eroi coraggiosi che hanno protetto e salvato alcuni dei suoi membri. Tre tra i numerosi “salvatori“ sono stati riconosciuti Giusti tra le Nazioni dal Memoriale della Shoah Yad Vashem di Gerusalemme. A questa straordinaria storia è dedicato il romanzo storico “Il Vescovo degli ebrei - Storia di una famiglia ebraica durante la Shoah” (puntoacapo Ed. 2019) e il docufilm di Rai Uno “Zachór-La fatica della Memoria”, a cura di Caterina Doglio.
Per decenni c'è stato un lungo silenzio sulla Shoah: molti tra i sopravvissuti ai campi di sterminio si sono sentiti colpevoli di essere ritornati, o addirittura colpevoli di ricordare. E per decenni anche molti tra quelli che si sono salvati hanno tenuto nascosti ai propri famigliari gli eventi che li avevano coinvolti durante la Shoah, forse perché temevano di non essere creduti, o forse perché non volevano trasferire il trauma ai propri discendenti.
Nell'ebraismo ricordare è un obbligo e un impegno talvolta molto doloroso in quanto, ponendo noi ebrei nel ruolo di vittime della più grande tragedia della storia recente, rischia di alimentare il senso di colpa di una società odierna – in particolare quella italiana - che non è ancora riuscita a trovare la soluzione a quei nodi tuttora irrisolti e il modo per l'assunzione di piena responsabilità, con conti purtroppo ancora in sospeso che impediscono un autentico e duraturo riavvicinamento tra le parti.
Ogni anno, durante la celebrazione della Pasqua ebraica, noi ci caliamo nella vicenda come se ogni generazione fosse quella uscita dall'Egitto. E la narrazione viene trasmessa e raccontata di padre in figlio, di generazione in generazione, perché dobbiamo continuare a ricordare per non cedere all'oblio, considerando l'uscita dall'Egitto non come un mero fatto del passato, un evento cioè consegnato oramai alla storia, ma come parte del vissuto di ciascun ebreo, resa vivente dal solo fatto di ricordare. Proprio come la Shoah.
Noi ebrei siamo responsabili di custodire il ricordo e renderlo Memoria, una Memoria della Shoah che oltre alla tragedia e la morte ricordi anche la vita, attraverso la trasmissione dei valori di coraggio, altruismo e generosità che molti eroici esponenti della nostra società civile hanno dimostrato nel momento più buio del secolo scorso. Questo è uno degli obiettivi nel percorso di Memoria intrapreso da questo progetto, perché si rifletta sul fatto che il buio si vince solo con la luce. Durante la Shoah non sono serviti riflettori ma sono bastate piccole candele ad illuminare le tenebre… quegli uomini e donne, in molti casi ancora sconosciuti, che hanno salvato vite spesso perdendo la propria e la cui abnegazione deve essere da esempio per le future generazioni… Uomini e donne che questo progetto vuole portare all'attenzione del Memoriale della Shoah Yad Vashem di Gerusalemme perché possano essere finalmente riconosciuti “Giusti tra le Nazioni”.
Nell’ebraismo non sono luoghi o monumenti a trasmettere la Memoria, ma semmai è proprio quest'ultima a tramandarne il ricordo: attraverso incontri, testimonianze e parole tradotte in libri o racconti. Come nell'uscita dall'Egitto è la narrazione che obbliga a fare Memoria, così questo progetto itinerante - come un treno da cui salgono e scendono salvatori e salvati, testimoni, discendenti e storici - raccoglie testimonianze e riporta alla vita volti, nomi e ricordi, strappa dall'oblio eroi sconosciuti e vicende dimenticate raccontandole, riunendo frammenti e storie di ebrei e non ebrei in un'unica grande narrazione… Memoria del nostro Paese.
Questo progetto vuole contribuire alla trasformazione del ricordo in Memoria vivente, dunque dal passato nel presente per il futuro, attualizzandolo per coinvolgere attivamente soprattutto le giovani generazioni. Raccogliendo e raccontando, la narrazione si fa ricordo e poi Memoria con il coinvolgimento e responsabilizzazione di tutta la società in questo sforzo.
La Memoria è patrimonio di tutti, non può e non deve cedere all'oblio con la scomparsa di chi la Shoah l'ha vissuta tragicamente sulla sua pelle. Tutti siamo discendenti di vittime, carnefici, partigiani, delatori, salvatori, salvati o deportati. E tutti abbiamo la responsabilità – ognuno per la propria parte - di far sì che la Memoria della Shoah sia monito ed insegnamento, con il buio che ha portato morte e la luce di chi ha illuminato il percorso verso la vita.
Paola Fargion
IL PROGETTO IN SVIZZERA
“OLTRE LA RETE”
Salvezza in Svizzera della famiglia Pardo-Volli
Uno dei protagonisti e testimone di questa drammatica vicenda di salvezza è Lucio Pardo, cittadino italiano di fede ebraica, nato a Trieste (Italia) il 08.07.1936, residente attualmente a Bologna.
Suo padre Ferruccio Barzilai Pardo (Trieste 1891-Bologna 1976) nel 1938 era Preside dell'Istituto Magistrale Margherita di Savoia di Reggio Emilia. Tornato a scuola dopo le vacanze estive trova la circolare che applica le “Leggi razziali” fasciste e impone la dispensa dal servizio degli ebrei della scuola. É lui l'unico ebreo dell’Istituto. Convoca docenti e personale e si dichiara nonostante tutto orgoglioso di essere italiano. Saluta tutti e se ne va. Torna a casa sua, a Bologna e alla Comunità Ebraica. In stazione rivede docenti e assistenti per un ultimo saluto con affetto e scambio di regali, fra cui l'orologio sveglia da tavolo donatogli per “poter segnare ore più liete”.
Saranno quelle del suo ritorno a casa sano e salvo nel 1945 e della dedica, nel 2007, dell'Aula Magna della scuola che ha diretto.
Nell'autunno 1938, nel rapporto al Ministero degli Interni, il Prefetto di Bologna Saverio
Polito scriveva: “…L'elemento ebraico ha dimostrato di piegarsi di fronte alla necessità degli eventi…” (cioè le Leggi razziali).
Così si piega il Presidente della Comunità (dimissionario con il Consiglio) che critica la costituzione di una scuola privata ebraica media e superiore oltre a quella dell'obbligo (elementare statale) già concessa.
Non si può dunque creare una scuola ebraica per mancanza di fondi, ma l'Assemblea della Comunità Ebraica delibera di
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fondare nella propria sede la Scuola media e superiore, anche con docenti dispensati dal servizio;
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nominare Preside il professor Ferruccio Pardo;
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acquisire risorse con le rette degli studenti retribuendo i docenti con tali risorse;
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assegnare al Preside Pardo la responsabile gestione didattica, delle attività e del bilancio
della scuola.
Rivendicare il diritto dei ragazzi ebrei di proseguire gli studi oltre la scuola dell'obbligo è la prima compatta e pacifica resistenza al fascismo della Comunità ebraica di Bologna che “non si piega davanti alle necessità del momento.”
Quindi l’intera Comunità entra nel mirino della Polizia fascista e viene controllata. Anche Ferruccio Pardo viene sorvegliato dalle Autorità di Polizia. Lo si scoprirà nel 1941 quando due giorni alla settimana è a Milano per insegnare fisica e matematica nella Scuola ebraica di Via Eupili. (Visita il sito del CDEC).
A Bologna chi lo deve spiare non lo trova e comincia ad indagare.
Nel frattempo Iris, moglie del Preside Pardo, diventa maestra della Scuola elementare ebraica che si insedia in un appartamento al secondo piano del condominio di Via Zamboni 2.
Due sono le famiglie che risiedono in quell‘immobile:
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la famiglia di Ferruccio e Iris Volli Pardo (nata il 17.02.1904 a Trieste) con i figli Lucio e Ariella (nata il 09.07.1940 a Trieste);
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la famiglia Giommi di Alfredo (1899-1971) e Velia Bottazzi Giommi (1908-1978) con i figli Gianni e Marisa.
Dopo il pesante bombardamento del luglio 1943 su Bologna tra gli sfollati che lasciano la città a migliaia vi sono anche molti ebrei e fra questi vi è anche la famiglia Pardo, che si sposta per sicurezza nella vicina cittadina di Budrio affittando un appartamento in Via Mazzini n. 7 di proprietà della famiglia Bónoli: Duilio, la moglie Sara Gentili e il figlio Renzo.
Dopo la guerra Ferruccio racconterà cosa avvenne il giorno che non avrebbe mai più dimenticato.
È l'8 novembre 1943 e alle 7:30 di mattina davanti al portone di via Zamboni n.2 a Bologna sostano un SS nazista e un Carabiniere. L’ufficiale tedesco è in divisa di “Einsatzkommando”, la squadra di Pronto Sterminio agli ordini di Dannecker, lo specialista in liquidazione di ebrei prima in Unione Sovietica e poi in Italia. Via Zamboni è ingombra di macerie.
Poco prima delle 8:00 esce dal portone un distinto signore con distintivo di invalido di guerra sulla giacca: è Alfredo Giommi, l'inquilino del quarto piano.
Il nazista domanda se sa dove sia Ferruccio Pardo. Giommi fa finta di non capire e risponde frettolosamente: “Andato via… Raus… Qui bombe…” mostrando le macerie tutte intorno…
“Sud… via al Sud.” Poi se ne va al lavoro in Comune.
Di solito Ferruccio Pardo arriva a Bologna da Budrio prima delle 8:00 con il trenino della “Veneta”. Ogni giorno fa lo stesso percorso per dare lezioni private a casa sua e guadagnare così qualcosa per mantenere la famiglia.
Una volta rientrato dal lavoro Alfredo Giommi viene a sapere dalla moglie che l’ufficiale nazista se n'è andato quella mattina poco prima delle 9:00. Così capisce di dover attendere l'amico Ferruccio che quel giorno stranamente non era arrivato alla solita ora… Dunque si apposta in fondo al corridoio nel sottoscala fra primo e secondo piano e lo aspetta.
Passano lunedì sera, tutto il martedì e arriva mercoledì 10 novembre. E finalmente, nel pomeriggio, intravede Ferruccio Pardo che infila la chiave nel cancello davanti alla porta di casa.
“Professore” gli sussurra “non entri… mi segua.”
Così i due salgono fino al quarto piano. In casa sua Alfredo Giommi gli rievoca la mattina di angoscia e Pardo gli racconta che quel lunedì 8 novembre aveva perso il treno arrivando a Bologna in ritardo verso le 9:00 circa. Lui e Giommi non si erano incontrati, era poi tornato a Budrio restandovi fino a quel pomeriggio. Solo allora si rende conto che quel provvidenziale ritardo gli ha salvato la vita.
Comprende che la sua famiglia è in pericolo e pensa solo di tornare a Budrio al più presto, andare via anche di là prima che i nazifascisti rintraccino lui e la sua famiglia.
Così Alfredo Giommi si accomiata dicendogli:
“Io sono un vecchio socialista e non vedo l'ora che crollino! E al vostro ritorno festeggeremo insieme la loro scomparsa!”
(E così hanno fatto le famiglie Giommi e Pardo per oltre 25 anni, finché l'amico Alfredo è rimasto in vita.)
Poi Ferruccio gli chiede se può lasciargli le chiavi di casa sua. Alfredo si alza, apre la finestra di un abbaino sopra al tetto, solleva una tegola mostrando un piccolo interstizio e gli dice:
“Le terrò qui a prova di perquisizione. Non ne parlerò con nessuno. Lo dico a Lei perché deve saperlo per ogni evenienza.”
Il solo obiettivo di Ferruccio Pardo è dunque quello di sparire. Così torna a Budrio.
I figli ricordano che era sconvolto e molto preoccupato. Chiede alla moglie dove sia il piccolo Lucio, che nel frattempo era in strada a giocare.
Solo a guerra finita Iris racconterà che suo marito informa lei e i Bónoli che i nazisti li cercano per ucciderli tutti in quanto ebrei.
Inorriditi e spaventati i Bónoli procurano un carro trainato da buoi che la mattina seguente conduce la famiglia Pardo a Borgo Panigale, non lontano da Bologna, da dove partono i convogli diretti a Milano.
I fuggiaschi arrivano a Milano Centrale a mezzanotte. Non ricordano come siano state scaricate le valigie sulla banchina a lato dei binari, ma Lucio rammenta invece con estrema precisione l’annuncio incessante dell'altoparlante:
“Milano, Stazione di Milano, coprifuoco… Chi esce dalla stazione sarà passato per le armi!”
E poi ancora, ancora quel lugubre e indimenticabile benvenuto... Ripetuto in continuazione… mentre il piccolo Lucio – esausto e disorientato - si sdraia sulla banchina accanto alle valigie e piomba in un sonno senza memoria.
Solo la mattina dopo, da sveglio, si renderà conto della fortuna con cui hanno trovato posto tutti insieme sulla banchina, mentre ovunque intorno a loro le banchine traboccano di gente e bagagli da non riuscire a contenere la folla costretta a dormire perfino in mezzo ai binari.
La famiglia Pardo sale sul primo treno diretto a Como e finalmente si riunisce alle zie Flora e Gemma, sorelle maggiori di Iris, con cui si era data appuntamento a Milano.
Flora è moglie di Ernesto, Ingegnere Capo del Genio Civile di Como, cognato non ebreo, che accoglie i parenti fuggiaschi in casa sua nella città di Como, dove risiede.
Finalmente tutti riprendono fiato e si rallegrano rivedendo i parenti, mentre Ferruccio incontra dopo lungo tempo anche Angelo Tarozzi, caro amico e collega da oltre vent’anni.
Qualche giorno dopo il cognato Ernesto accompagna i Pardo poco fuori Como, in una località vicino a Tavernerio, dove la famiglia si sistema in un appartamento di una grande villa presentando documenti falsi nel caso ci siano indagini di polizia.
Aiutato dall'amico Angelo Tarozzi Ferruccio Pardo ottiene lezioni private, come già fa a Como sua cognata Gemma da oltre un anno. Lei, insegnante fuggita da Trieste onde evitare l'arresto perché sospettata di attività antifascista, abita a Como dove si guadagna da vivere grazie a lezioni private.
È convinzione diffusa che - per ottenere asilo in Svizzera - basti comprovare la propria origine ebraica con i documenti d'identità personali. Ma Gemma Volli non si fida e non li ritiene una prova sufficiente. Così chiede che il Regio Notaio Raoul Luzzani, con studio e abitazione in Via Vittorio Emanuele n. 19 a Como, compili un atto notorio basato sul giuramento di due testimoni che dichiarino la sua appartenenza alla cosiddetta “razza ebraica”. Il Notaio Luzzani è figura ben nota e di alto profilo morale, con incarichi di rilievo tra cui quello di Revisore e membro del Consiglio di Amministrazione dell' Ente Villa Carlotta di Tremezzo (Como).
(Leggi la BIOGRAFIA DEL NOTAIO LUZZANI e l'articolo dedicato da VILLA CARLOTTA COMO)
Il primo testimone che firma è proprio Angelo Tarozzi.
I due testimoni e il Notaio sanno bene che, se Gemma Volli e la famiglia Pardo venissero catturati dai nazisti prima di varcare il confine o fossero respinti con il sequestro di quell’atto notorio, sarebbero subito arrestati e processati per aver aiutato degli ebrei in fuga.
Il Notaio Luzzani, Angelo Tarozzi e Antonio Nessi, l’altro testimone che presta servizio come usciere presso il Genio Civile di Como ed è papà di un'allieva della moglie di Tarozzi, sanno a quale pericolo si espongono firmando l’atto notorio.
Eppure non esitano a compiere quel gesto eroico di salvataggio in un momento storico nel quale molti si sarebbero voltati dall'altra parte denunciando gli ebrei.
I loro nomi sono all'attenzione della Commissione del Memoriale Yad Vashem di Gerusalemme per il riconoscimento quali “Giusti Tra le Nazioni” (LINK YAD VASHEM)
Nel novembre 1943 è molto difficile, se non impossibile, varcare la frontiera italo-svizzera.
La dicitura “ebreo” è motivo e causa di arresto e deportazione in Italia mentre alla frontiera svizzera è prova di necessità d'asilo con richiesta d'accoglienza per la salvezza.
E così - all'alba del 23 novembre 1943 - da Solzago di Tavernerio la famiglia Pardo scende a valle e con il primo vaporetto raggiunge l'altra sponda del Lago di Como.
Una volta a terra i piccoli Lucio e Ariella, i genitori Ferruccio ed Iris insieme a zia Gemma, le due guide con i muli e altri profughi imboccano la ripida mulattiera che porta alla vetta del Monte Bisbino. Lì il gruppo pernotta in una malga di pastori.
La mattina dopo Lucio si sveglia e ricorda di aver visto, oltre la rete, una ripida discesa fiancheggiata da collinette.
Il gruppo incontra una guardia svizzera e il figlio con lo zainetto scolastico sulla schiena.
“Tornate in Italia” intima la guardia.
“Vi prego, tenete almeno i bambini” gli risponde Ferruccio.
E il militare svizzero insiste:
“Tornate indietro!”
Poi però, quasi per un miracolo, si carica Ariella sulle spalle, si volta e s’incammina verso Bruzella, in territorio svizzero.
Ed è allora che suo figlio si toglie dalle spalle lo zainetto, prende della cioccolata e la allunga al piccolo Lucio. Poi corre via dietro a suo padre.
Mamma Iris si commuove, inizia a piangere incamminandosi con agli altri verso la casetta chiara della Polizia di frontiera. I fuggiaschi sono finalmente salvi!
L’atto notorio sottoscritto dal Notaio Raoul Luzzani di Como è determinante per la salvezza della famiglia Pardo-Volli.
QUI la cronologia completa della fuga e del ritorno secondo quanto ricordato da Lucio Pardo.
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